Cari lettori, probabilmente non conoscete Stelio Vinanti. Solo chi viveva a Milano dai tempi in cui Claudio Abbado era alla Scala lo conosceva, solo i vecchi loggionisti, quelli che facevano parte degli “Amici del loggione”, lo conoscevano allora per la sua alta statura, per le sue rabbie improvvise, per la sua passione per la musica, per Claudio Abbado, per la cultura in tutte le sue forme.
Il virus lo ha portato via mentre si trovava in una casa di riposo milanese. Quindi, per chi lo conosce e per chi, dopo aver letto il mio pezzo avrebbe sicuramente voluto conoscerlo, tengo a evocare questi ricordi di questa figura di habitué che frequentava la Scala e tutti teatri e le sale da concerto in Italia, di un vero appassionato di musica, e del primo degli abbadiani.
Merita di essere ricordato, tanto più che è impossibile andare a Milano per onorarlo tutti insieme.
Che razza di carattere!! Gli era facile infiammarsi al di là della ragione per difendere le sue passioni e le sue idee, persino le sue chimere. Era un uomo sgargiante, che passava le sue giornate nella sua tana, aperta sul giardinetto di una casa di charme nel centro di Milano, una casa di operai con giardino di fine Ottocento, un po’ in stile “cottage” inglese in versione casolare lombardo; quella tana era piena di carte, libri, articoli di giornale ritagliati, e in un angolo un paio di occhi enormi, quelli di Claudio Abbado, che sembravano guardarlo e tenere d’occhio l’allegro casino che vi regnava.
Quando scendevamo laggiù, ci mostrava un articolo di giornale, ci chiedeva cosa pensavamo di un tale e tale concerto, di una tale e tale produzione scaligera, e se non eravamo d’accordo con lui, si arrabbiava. Considerava anche che con la scomparsa di Abbado, la Scala non fosse più quel luogo magico da frequentare assiduamente.
Claudio lo amava molto, si conoscevano da molto tempo, e avevano stabilito tra di loro una di quelle relazioni che quando ci si ritrova il tempo passato senza essersi visto viene cancellato.Lui, questo pilastro delle sale da concerto, in una città dove il piccolo ambiente degli amanti della musica e dell’opera si incontrava in tutti gli appuntamenti importanti e dove tutti si conoscevano, era una delle figure che non passavano inosservate, chiacchierando con tutti, sorridendo sempre, lasciando a quelli con cui parlava l’impressione di essere indispensabili, unici al mondo. Per lungo tempo aveva lavorato per gli Amici del Loggione del Teatro alla Scala, un’associazione nata ai tempi di Paolo Grassi, che, oltre ad organizzare eventi per preparare i soci alle nuove produzioni scaligere, organizzava incontri, mostre, ecc.… e lui si occupava in modo specifico degli eventi. È lì che l’ho incontrato, mentre preparavo un evento intorno a Bizet. E siamo diventati subito amici.
Amici al punto che la sua scomparsa è un vuoto enorme, come una delle parti essenziali della mia vita che se ne è andata, perché Stelio è stata una delle amicizie più forti dei miei anni milanesi, è stato anche per me una fonte infinita di conoscenze diverse, mi ha insegnato tante cose, mi ha invitato a tante letture (“Come? Ma non hai letto questo? Ma non è possibile” diceva nel suo modo teatrale irresistibile). Andare a trovarlo era la certezza di vivere non solo un momento stimolante, ma spesso forte, e di ritornare a casa con tante idee in testa.
È stato naturalmente uno dei fondatori del Club Abbadiani Itineranti, accolita di appassionati che hanno seguito i concerti di Claudio Abbado dopo la sua partenza da Milano nel 1986, prima informalmente, poi formalmente, fondando un’associazione. Dal 1986 fino al 2013 ci siamo incontrati tutti regolarmente ai concerti di Claudio a Vienna, Berlino, Lucerna e altrove. Quando ritornavamo a Milano la sera in macchina ascoltando cassette o CD, discutendo della produzione o del concerto appena visto, quanti litigi omerici tra Klagenfurt e Tarvisio, tra Monaco e il Brennero, tra Ferrara e Milano!
Tale era Stelio, un personaggio colto e curioso di tutto, così immerso nel suo mondo che spesso dimenticava il mondo reale, ma fortunatamente aveva con sé la sua ammirevole moglie Francesca, insegnante al conservatorio, e due figlie eccezionali che ovviamente hanno fatto carriera nella cultura, soprattutto nel mondo teatrale, che hanno agito con lui come il figlio del re francese Jean le Bon (Giovanni II il Buono) che gli diceva nel cuore della battaglia “Padre tieni a destra! padre tieni a sinistra!”.
A tutte e tre rivolgo il mio pensiero tanto ma tanto affettuoso.
Sì, Stelio viveva nel suo mondo e noi lo amavamo per questa singolarità, che a volte ci infastidiva con i suoi eccessi, ma che per gli stessi eccessi ci affascinava anche. Era un personaggio alla Balzac, un César Birotteau della musica, o uno di questi maniaci di Molière che piegano l’entourage alla mania: era un personaggio di finzione perso in un mondo che non faceva per lui.
Aveva accumulato documenti incredibili su tutta la vita culturale italiana ed europea a partire dagli anni Settanta, il suo archivio è un pozzo senza fondo, con le conoscenze, i commenti e i sentimenti che lo accompagnavano: se avesse voluto scrivere, o trasmettere tutti i tesori che conosceva, avremmo senza dubbio uno dei grandi ricordi musicali o teatrali della fine del XX secolo. Mi ha anche trasmesso la sua passione per Luca Ronconi, per lui l’altro compagno di strada. Ma Stelio era anche un uomo fragile, un insicuro; preferiva immergersi nelle sue passioni da solo o con pochi amici e non avrebbe mai affrontato il mondo: stava troppo bene in questo regno di cui era il monarca assoluto.
Originario di Belluno, non lontano dalle Dolomiti, gli piaceva negli ultimi anni ritirarsi da lupo solitario nella sua “casera”, una piccola casa di boscaioli in fondo di foreste per dipingere, disegnare e sognare.
La sua salute ormai era peggiorata, e da più di un anno si trovava in una casa di riposo, dove aveva trasformato la sua stanza in una dépendance della sua tana, piena di giornali ritagliati e soprattutto di superbi disegni dei residenti, che aveva colto con un tratto di incredibile sicurezza.
Là dove si trovava, aveva questa meravigliosa capacità di ricreare un mondo tutto suo.
In fondo era un artista, più solitario e più fragile di quanto si possa pensare, immerso nella carta stampata, con poco senso pratico (il suoi faccia a faccia con il computer o più tardi con lo smartphone erano omerici), un personaggio d’altri tempi, dedicato solo all’arte e alla musica, dedicato ai suoi idoli: è stato per noi l’emblema dei nostri anni di folli passioni per la musica, per Claudio, per il teatro, per l’arte, e allo stesso tempo ha rappresentato per noi l’estremo del possibile. Da qui questa alternanza, anche in una sola serata, tra indimenticabili risate ed esplosioni di rabbia da cui uscivamo esausti.
Stelio, dove tu sia, sei adesso tra tuoi idoli. Sono sicuro che stai già trovando il tuo piccolo angolo confortevole, tra i tuoi sogni, le tue fantasie e le tue passioni. E anche se ti porteremo per sempre dentro di noi, ci lasci terribilmente soli.